lunedì 6 giugno 2016

Dodici


Jaime, assalito da tutte quelle domande, capisce che non riuscirà a resistere a lungo alle insistenze di Loredana. Le ha sempre voluto troppo bene per tenerle nascosto qualcosa. No, questo non è esattamente vero… non più almeno…
Fin da piccoli sono stati così legati! Ai tempi della scuola elementare separarli per più di qualche minuto era un’impresa, e infatti la maestra faticò per convincerli a stare anche con gli altri loro compagni. Alla fine vi riuscì, ma i due continuavano a essere uniti da un forte legame. Che bei tempi erano quelli! La vita era molto più semplice e non c’erano segreti su segreti a complicare le relazioni. E comunque non era mai stato il caso di Jaime e Loredana, dato che si dicevano sempre tutto. Anche quando la ragazza aveva cambiato il suo nome in Sol Carré, Jaime era stato il primo cui l’aveva detto.
Tutto ciò, però, ormai è cambiato. Ed è cambiato dal giorno in cui Joemi gli ha svelato la vera ragione per cui la loro madre se n’era andata, ancora molti anni prima, e l’ha pregato di non dire niente a Loredana. E il ragazzo capisce benissimo le motivazioni della sorella e rispetta la sua decisione.

Jaime si riscuote da questi pensieri, tornando al presente: Loredana ormai ha capito che le sta tenendo nascosto qualcosa, ma non si tratta del fatto che abbia ucciso la sorella! Come avrebbe mai potuto? E per quanto riguarda quella serata… quella maledetta serata... ha capito che forse il suo affetto per Loredana ormai va oltre la semplice amicizia… Ma tutto questo gli rende ancora più difficile tenere il segreto!
Loredana, però, non può entrare in quel bagno. Jaime ha visto perfettamente che una figura sospetta vi stava entrando e che poco dopo vi era giunta anche Clothilde. Con ogni probabilità quella psicologa ha già fatto la fine di Joemi, e Loredana, dopo aver già visto la sorella morta ed essere quasi stata uccisa, rientrerebbe in stato di shock se vedesse un altro cadavere.
Quella, però, non è la sola ragione per cui Jaime le impedisce di entrare: se anche quella donna fosse ancora viva, forse sarebbe meglio morisse, anzi, probabilmente sarebbe la cosa migliore per tutti, perché la ragazza non sarebbe costretta a ricordare dolorosi fatti passati, mentre quelli che potrebbero essere svelati, che certo solo Clothilde sarebbe in grado di portare alla luce, continuerebbero a rimanere un segreto.
- Adesso basta Jaime! Fammi entrare! – urla Loredana, correndo verso la porta come una furia. 
Il ragazzo, preso alla sprovvista, non riesce a bloccarla e accade l’inevitabile. La ragazza grida, accasciandosi per terra. Jaime si precipita a soccorrerla e vede che Clothilde non è ancora morta, anche se ha una larga e profonda ferita che le attraversa il torace per il lungo.
– Aiuto! Venite presto! C’è stato un tentato omicidio, Clothilde è gravemente ferita!-
Subito arriva una squadra di medici che la portano d’urgenza in sala operatoria, mentre un’infermiera accompagna Loredana, che a mala pena si regge in piedi, nella sua camera.
Solo Jaime rimane nel bagno, assalito da un insieme di sensazioni contrastanti: preoccupazione, per i due già tentati omicidi, per le condizioni dell’amica, perché il segreto, di nuovo, rischia di essere svelato; sollievo per aver chiamato i medici in tempo, prima che Clothilde fosse spacciata, e perché, passato quel momento di pura pazzia che l’ha assalito poco prima, capisce che la vita di una persona vale molto di più di ogni segreto. 
Ma a queste emozioni se ne aggiunge un’altra, ancora non ben chiara… un’idea che gli ha sfiorato l’anticamera del cervello, ma non è ancora riuscito ad afferrare appieno...
Si guarda un po’ intorno... e capisce.
Proprio quel fatto inconfessabile di cui è a conoscenza, lo sta aiutando a svelare i misteri di quelle aggressioni.

sabato 4 giugno 2016

Undici

- ...ah sì..., me li ricordo quando ballavano “Boom Boom” come due pazzi cronici, malati del blues in quel locale… JAIME! - urlò stupita Sol, e col cuore in gola.

Sudore intorno agli occhi. Lo avvertiva di nuovo, come se fosse provocato dalla maschera veneziana che lui aveva letteralmente adorato la notte prima.

Era apparso. Dalla piccola vetrata sulla porta l’aveva visto passare come un essere indifferente e inconsapevole del fatto che all’interno di quella camera si trovava proprio lei, la sua cara amica (o la sua femme fatale?).
- Come mai non si è fermato? Forse non sa che io sono qua. Magari è in questo ospedale per altro... ma sì. Io sono solo l’ombra di mia sorella. Una lurida mocciosetta. Mi sono stancata di tutto questo: forse devo solo farla… finita - pensò Loredana ansiosamente.
- Che cosa hai appena strillato? Je t’aimais, tu m’aimais. Qu’est-ce que tu as dis, mon trésor? - disse la psicologa francese, impaziente del suo racconto.
- Niente. Io non ti amo e non amo nessuno. Sono solo un’altra misera mattonella nel muro che tutti voi maiali mi avete costruito intorno. Una formica che vaga in questo mondo di stortura e d’artificio in cui la mia dannata madre mi ha sputato - disse Sol. 
E cadde addormentata. Troppo sforzo aveva fatto: era ancora troppo debole.

La pazza criminologa era ormai esausta di questo caso enigmatico. Si alzò dalla sedia, fuori di sé. Purtroppo, doveva aspettarsela una reazione del genere. La barista si risvegliava da uno shock gravissimo e dalle cose più orribili della sua vita, che per giunta le erano capitate solo in pochi giorni.

Ma la donna non sapeva che ormai era troppo tardi. Ignorava che le potesse accadere qualcosa di brutto. Ella era sempre stata talmente sicura di sé e della sua professione... lei: così folle ed intelligente. SBAGLIAVA. Troppa gente vanitosa affollava quel mondo tempestoso. Qualcuno bisognava pur eliminare. Ecco. Lei... era di troppo. Stupida ficcanaso.
Accese la luce accecante del bagno dei degenti, il quale comunicava anche con l’altra stanza d’ospedale. Andò verso il lavandino. Si lavò le mani, e poi le alzò per lavarsi la faccia. Le fece scorrere sul suo fine viso e, aprendo i suoi occhi brucianti di confusione, vide, scritto sullo specchio davanti, ciò che ormai era troppo tardi impedire:

“Donna avvisata, morte assicurata”

Terrore. Buio. Caldo. Salto. Lampo. Corpo tagliato.

Sol si risvegliò liberandosi da quell’ombra che l’aveva inseguita la notte nei suoi sogni. Ora la sua vescica pretendeva disperata d’essere svuotata. Iniziò perciò a dirigersi verso il luogo del delitto.
Improvvisamente, la porta della sua stanza venne sbattuta violentemente:
- Non aprire quella porta, Sol...per favore non farlo...non aprire la porta del bagno, Loredana Carré! -
- Jaime, p-pensavo che tu...n-non fossi qui p-per... ah, lasciamo stare! Finalmente ti sei fatto vedere. Non sai cosa ho passato in queste ultime ore senza te. Ora mi sento meglio, fortunatamente. La signorina Clothilde ti farà sicuramente il terzo grado su ogni minimo particolare. A proposito, dove è finita quella perfettina di psicologa francesina? ohm ohm ohm, baguette Tour Eiffel, je suis française et la reine du monde entière... - ironizzò la ragazza, quando quasi stava per sfiorare la maniglia del bagno.
Ma lui non aveva né tempo né voglia di ascoltare le sue stupidaggini da ragazzina prepotente.
- Non-aprire-quella-fottuta-porta! - ripeté, guardandola con occhi penetranti ed inquietanti. Sguardo del genere mai aveva fatto capolinea sui suoi occhi celesti.
- M-ma Jaime, perché m-mi guardi così? M-mi fai paura. Ti prego, non essere arrabbiato con m-me. Per oggi, ho già fatto camminare abbastanza la signora Clothilde sul lato oscuro di Sol Carré! -
- Siediti sul letto. Stai calma. Non faccio niente…MA TU... -
- C-cosa? Ma io, cosa? N-no Jaime, tu mi nascondi qualcosa. Quella sera i tuoi occhi me lo stavano raccontando. Le tue pupille emanavano paura. Terrore. Sgomento. Tu tremavi. C’era qualcosa di surreale che tuttora noto nel tuo comportamento. Ma no, ovviamente, tu non puoi aver ucciso nessuno! Come si spiegherebbe la tua freddezza quando chiamasti los carabineros? Ah! E poi inviasti tu a Joemi per posta quel biglietto con il numero di telefono di Pablo, per farglielo incontrare dopo che si era separata da Arturo? Tu le volevi bene, lo so, e mi rassicuravi sempre, dicendomi che a Francoforte, da papà, tutto si svolgeva per il migliore dei modi. Tutte queste cose erano sincere, giusto? Non è vero, eh? Mio piccolo, non è vero? -


Dieci


Fortunatamente l'ambulanza arrivò nel giro di pochi minuti. I paramedici spostarono su una barella il corpo sanguinante della ragazza e Clothilde con altri due poliziotti seguirono la vettura fino all'ospedale Llobregat di Barcellona.
Sol, o meglio Loredana, presentava un'emorragia interna e finì anche in coma. Clothilde non la lasciò sola un minuto, nonostante alcuni suoi colleghi si fossero proposti di darle il cambio.
Dopo quasi una settimana passata in stato vegetativo, la ragazza iniziò a rifiutare il respiratore, cominciando prima a muovere le dita delle mani e poi ad avere come degli spasmi. Clothilde corse fuori dalla stanza e cercò per tutto il reparto il primario, affinché provvedesse a staccarla dalla macchina respiratoria.
Il primario chiamò a sé alcuni medici ed insieme entrarono nella stanza della ragazza, mentre la criminologa era costretta a rimanere nel corridoio. Chiamò quindi i suoi colleghi per dar loro la bella notizia.
Una mezz’ora più tardi, si presentò inaspettatamente davanti a lei l'ispettore Hernandez, pronto ad assillare di domande Sol il prima possibile. 
- La lasci stare per un po', avrà sicuramente bisogno di riposarsi prima di rivivere tutto questo! -, lo rimproverò in tono cagnesco Clothilde. 
- Ma lei non capisce... Sol probabilmente ha visto chi ha provato ad ucciderla e lo conoscerà di sicuro! Dobbiamo sapere chi sia quanto prima, così potremo metterlo dietro le sbarre! - protestò l'uomo che, per quanto fosse un brillante ispettore, era testardo come pochi in tutta la città. Infatti, offeso, aggiunse: - Tipico di voi francesi: tendete a procrastinare tutto! -
A quel punto, la donna perse la pazienza: 
- Voi spagnoli invece non capite niente, non avete il minimo tatto! -
- Non osi mai più a dire una cosa del genere, noi siamo catalani, non spagnoli. Ma è vero, che cosa ci capite voi francesi, che studiate solo la storia del vostro paese? -
Tra i due scoppiò così un'animata lite sui più assurdi stereotipi francesi e spagnoli, tanto che non si accorsero che esattamente di fronte a loro si trovava il primario che li squadrava. 
- Una volta finita la guerra agli stereotipi, vorrei comunicarvi che Sol Carré sta bene -.
L'ispettore e la criminologa avrebbero voluto correggere il medico dicendogli che in verità la ragazza si chiamava Loredana Carrè, ma non era poi così importante in quel momento.
- In questi giorni è bene che non subisca pressioni di alcun tipo, sebbene sappiamo in cosa è stata coinvolta. Potrebbe andare in uno stato di shock ed avere delle crisi respiratorie... In più, dovrà rimanere ricoverata almeno altre sei settimane. E' stata davvero fortunata, sapete? Con la ferita che aveva riportato avrebbe potuto morire -.
Il primario si congedò e lasciò i due soli, che si guardarono in silenzio per qualche secondo. 
- Entra tu, sei evidentemente più portata di me a gestire queste situazioni! - concluse Hernandez, con grande compiacimento di Clothilde.
La criminologa entrò lentamente nella stanza, sfoggiando il più caldo dei suoi sorrisi. 
- Ciao Sol... volevo dire Loredana! -
- Arturo Montalti - disse semplicemente la ragazza guardando nel vuoto.
- C-come, scusa? - domandò perplessa la donna.
- Arturo Montalti mi ha aggredita... lo riconoscerei ovunque!-
Clothilde cercò nella sua borsa arancione il piccolo registratore che si portava sempre dietro e lo accese, facendo in modo che Sol non lo vedesse.
- Ti va di parlarmi di quest'uomo? - le chiese dolcemente, e la ragazza le fece un cenno di sì con la testa.
- L-lui era il fidanzato di mia sorella... -.

martedì 3 maggio 2016

“Non cercate oltre se non volete altri cadaveri.”


Clothilde e gli agenti della polizia entrarono dunque correndo nella stanza, e videro Sol per terra, coperta dal proprio sangue. Il manico d’un coltello era ancora tra le dita della ragazza, ma le finestre della sala erano spalancate ed accanto al corpo c’era un foglio spiegazzato.         
 Clothilde fece chiamare l’ambulanza, mentre leggeva la lettera anonima:                            “Non cercate oltre se non volete altri cadaveri.”

Nove

Sol guardava le sue mani tremare sotto il tavolo, mentre la psicologa psicopatica la interrogava per la seconda volta. 
- Sol, - disse Clothilde, appoggiando i gomiti davanti alla ragazza, - chi è Joemi Carré? -.
Per l’ennesima volta Sol esitò a rispondere, ma ora la criminologa perse la pazienza:
- Joemi Carré era la tua sorella gemella. Tu l’hai uccisa: magari perché ti vergognavi del suo lavoro? O forse perché pensavi di fare un favore al mondo, a uccidere una ladra tossico dipendente? Dimmelo tu, Sol, perché hai ucciso tua sorella come una bestia senza anima? -
Le dita prima tremolanti della ragazza adesso erano paralizzate, i suoi occhi erano offuscati dalle lacrime e la sua mente cercava di capire come uscire dalla situazione. Alla fine, cedette e cominciò a piangere.
– Non ho fatto niente di male - si difese singhiozzando.
- Allora spiegami perché tua sorella è stata trovata morta vicino al tuo bar? -
- Non lo so. Io non ho fatto niente di male. - Ella ripeté. 
- Dis-moi la verité, perché hai cambiato il tuo nome da Loredana in Sol? -
Sol si alzò e batté le mani sulla porta per chiedere aiuto. Ma i due agenti la presero e la rimisero a sedere. 
– Lasciatemi stare! - esclamò.
La criminologa, invece, la prese per il mento e le ordinò di dire la verità. 
- E’ così: Loredana Carré è il mio vero nome. Io decisi di chiamarmi Sol perché Loredana era il nome di mia nonna: era lei che badava a me e mia sorella. Era una donna elegante e dolce, e ci insegnava sempre a non essere materialiste, ma ciò che contava veramente, cioè buone e rispettose. Mia nonna era affettuosa con le sue nipoti, ma non altrettanto con la nuora: lei e mia madre non andavano mai d’accordo, perché lei accusava mia madre di essere una cacciatrice di dote e di non amare veramente mio padre. -
Sol chiuse allora gli occhi; invece Clothilde prendeva nota di ogni singola parola. 
- Quando mia nonna morì, lasciò tutto alla nostra famiglia, ma mia madre rifiutò di accettare l’eredità e anzi, abbandonò me e mia sorella. L’unica cosa che seppe dirci mio padre fu “un giorno tornerà.” -
Sol piangeva forte, pensando che la madre non era mai tornata e che non avrebbe mai più potuto rivedere Joemi. 
- Calmati! - disse la psicologa - Perché, ma belle Sol, eri diretta a Francoforte? -
La povera ragazza si era intanto tranquillizzata, ed adesso era convinta di poter sistemare tutto se diceva tutta la verità:
– Mio padre abita a Francoforte. Anche se non si è mai interessato tanto a noi, magari potrebbe aiutarmi.-
- In che modo, Sol? -
- Non lo so. So solo che io non ho ucciso mia sorella: anzi, non sapevo nemmeno che si trovasse in Spagna. Volevo solo capire che cosa era accaduto quando me ne sono andata da casa. -
- Da casa... Intendi da Francoforte? - chiese la criminologa interessata, e già pronta a prenotare un biglietto per Francoforte per risolvere il mistero. 
- No. - 
La criminologa alzò gli occhi per guardare Sol e corresse:
- Dall’Italia? -
La ragazza annuì e specificò: - Sì, da Bologna. Prima della morte della nonna, la mia famiglia viveva a Bologna. -
La criminologa sorrise quando udì queste nuove informazioni. Poi si alzò dalla sedia e disse ad uno degli agenti di prenotare dei biglietti d’aereo per Bologna, e anche lei uscì dalla sala per cercare informazioni sulla famiglia Carré di Bologna.

Ma proprio quando stava per tornare dove aveva lasciato la ragazza, sentì un urlo che le penetrò le orecchie come la lama d’un coltello affilatissimo.
Clothilde e gli agenti della polizia entrarono dunque correndo nella stanza, e videro Sol per terra, coperta dal proprio sangue. Il manico d’un coltello era ancora tra le dita della ragazza, ma le finestre della sala erano spalancate ed accanto al corpo c’era un foglio spiegazzato.
Clothilde fece chiamare l’ambulanza, mentre leggeva la lettera anonima: “Non cercate oltre se non volete altri cadaveri.”

mercoledì 30 marzo 2016

Otto

Sol, o meglio Loredana, se ne stava seduta su una panchina di ferro dell’aeroporto, in attesa che cominciassero ad imbarcare i passeggeri per il volo diretto a Francoforte. Aveva sempre odiato il suo vero nome, lo detestava con tutta sé stessa. D’altronde, lo aveva scelto sua madre, quella donna senza cuore che aveva abbandonato lei e la sorella a soli tre anni. Loredana non era mai riuscita a perdonarla, mentre Joemi, lei era troppo buona. Ed era sempre stata lei la preferita del padre: a lei veniva fatto prima ogni regalo e a lei erano rivolte tutte le attenzioni .
Quando la madre se n’era andata di casa, Joemi era stata male, aveva pianto a lungo e ininterrottamente e aveva continuato a soffrire per mesi. Ma poi, incapace di cattivi sentimenti, l’aveva perdonata, anzi, aveva pensato che magari aveva le sue buone ragioni.
Loredana, invece, aveva promesso a sé stessa che mai e poi mai sarebbe tornata sui suoi passi.
Ora batteva i piedi ritmicamente sul pavimento, tormentata da un senso di ansia che ogni secondo si faceva sempre più forte.
Ad un tratto, il telefono che teneva tra le mani prese a squillare freneticamente. Cercò di decifrare il numero, ma per sua sfortuna non lo conosceva.
- Pronto? - rispose con un filo di voce.
- Mademoiselle Sol? - chiese una voce squillante di donna dall’altra parte. Lei la riconobbe subito, era l’unica persona con cui non avrebbe voluto parlare al telefono. Sapeva benissimo che Clothilde sarebbe presto stata in grado di scoprire dettagli piuttosto inquietanti sulla sua vita personale. Glielo aveva letto negli occhi.
- S-sì - balbettò lei.
- Abbiamo bisogno di chiarire alcuni dettagli riguardo l’omicidio di questa mattina. Dove si trova in questo momento? - chiese quella con indomabile accento francese.
- Ecco...io… - la voce le tremava, nessun suono riusciva ad uscire dalla sua bocca. Chiuse la chiamata, pensando di cavarsela con poco.
Ma al commissariato Clothilde, che in testa aveva già chiaro il suo piano, aveva fatto rintracciare il numero di Loredana da un agente, proprio durante il corso di quella breve telefonata. Ed ora era più che mai decisa a trascinarla in commissariato prima che riuscisse a scappare chissà dove.
Perciò, come un fulmine, attraversò l’ufficio indicando due agenti scelti ad intuito.
- Avec moi! - disse, ed i due la seguirono senza fare domande.
- Non riuscirà a scappare! - annunciò mentre si precipitavano fuori, diretti alla macchina della polizia. Spalancò la portiera accomodandosi al posto di guida, mentre gli altri due si sedevano uno affianco a lei e uno di dietro.
- Arriviamo, ma belle! - esclamò poi in tono solenne, mentre sfrecciava a velocità incalcolabile verso l’aeroporto.

Sol aveva le idee piuttosto confuse. Non sapeva cosa ne sarebbe stato di lei una volta arrivata a Francoforte. Continuava a rigirarsi il cellulare tra le mani, incapace di restare calma. Poi una voce all’altoparlante la rasserenò.
- I passegeri del volo K1499, diretto a Francoforte, sono pregati di presentarsi al gate numero 6 per l’imbarco.
Soddisfatta, afferrò la borsa e cominciò ad incamminarsi verso il sesto gate, sentendo ad ogni singolo passo di essere sempre più vicina alla salvezza.

Clothilde parcheggiò senza troppa attenzione: la sua guida selvaggia li aveva fatti arrivare a destinazione prima del previsto. Schizzò fuori dall’auto correndo verso l’entrata dell’aeroporto, seguita dai due agenti. Si fece strada tra la folla esibendo il distintivo a chiunque accennava ad opporsi a lasciarla passare e corse verso il bancone del check-in. Superò tutta la fila e si rivolse con molta disinvoltura alla ragazza bionda in divisa.
- Signora, la prego di rispettare la fila! -
- Non ho tempo per queste sciocchezze, sono della polizia e ho bisogno di sapere se una ragazza di nome Sol Carré ha acquistato un biglietto aereo e qual è la destinazione -.
La biondina mise in azione il computer senza esitare e dopo un paio di clic sbottò:
- La signorina Sol Carré si sta imbarcando in questo momento al gate numero 6, sul volo diretto a... Francoforte -.
- Trovata! - esclamò soddisfatta Clothilde, e senza nemmeno ringraziare prese a correre forsennatamente verso gli imbarchi.

Sol aspettava che aprissero le porte per l’imbarco e ormai il cuore le stava letteralmente sfondando il petto.
- Ancora qualche minuto e ci siamo signori -, annunciò l’addetto all’apertura delle porte.
- Ferma là, non un altro passo! - esclamò una voce terribilmente familiare.
Sol si girò di scatto e si sentì morire.
- Io non… - non ebbe il tempo di terminare la frase per voltarsi e fuggire che Clothilde le era già addosso e le aveva infilato le manette ai polsi.
- Maintenant vous verrez avec nous mademoiselle. Ci devi alcune spiegazioni, mon petit trésor -.

giovedì 10 marzo 2016

Sette

Ancora turbata e stravolta dalla violenta chiacchierata, Sol cercava in tutti i modi di calmarsi e convincersi del fatto che le parole della pazza psicologa fossero bazzecole per incastrarla. Ma Sol lo sapeva di essere innocente, sapeva di non essere direttamente coinvolta nella vicenda e sapeva che nulla poteva essere utilizzato contro di lei. Non avevano prove! Non avevano in mano nulla! 
"Stai calma Sol, tranquillizzati, non è successo niente, sono solo dei poliziotti che cercano di fare il loro fastidioso lavoro! Tu non c'entri niente, non conosci quella maledetta ragazza! Tu sei innocente! Tu sei una brava ragazza, una povera vittima di cui nessuno vuole prendersi cura!" continuava a sussurrare tra sé e sé Sol con voce tremolante ed insicura...
Le venne improvvisamente un'idea folle, forse giustificata dal panico del momento, dalla situazione paradossale in cui si trovava. Raccolse la sua borsa freneticamente, si sistemò i capelli, indossò il suo cappottino di cachemire nero lungo fino alle ginocchia, chiuse il bar e si diresse con passo veloce verso il suo piccolo appartamento al quarto piano. Tirò fuori dallo sgabuzzino una valigetta dentro alla quale mise le prime cose che le capitarono fra le mani: i vecchi jeans strappati che non aveva ancora messo a lavare, un golfino beige con la scritta "New York City", un reggiseno appeso alla sedia, la sua canotta preferita che aveva comprato durante una vacanza in Grecia nel 2012 e tre paia di calzini di colori diversi. Richiuse a fatica la valigia, spense gas e luce e si precipitò giù dalle scale, che le sembrarono più ripide del solito. 
- Un taxi in via dei Conquistatori 76. Faccia più in fretta che può per favore, sto per perdere un aereo. -
Arrivata in aeroporto, Sol esitò parecchio prima di compiere un simile gesto folle, ma non le restava altro da fare: questa storia la stava distruggendo.
- Un biglietto per il primo aereo che va lontano da qui, la prego. -
- C'é un aereo fra mezz'ora per Francoforte. Le potrebbe interessare? -
- Certo, va benissimo! Ecco a lei i documenti... -
Passati controlli Sol poteva finalmente rilassarsi senza essere turbata da nessuno.Si sedette su una comoda panchina, si guardò intorno per qualche istante, aprì la borsa per controllare di avere tutto, poi esaminò il portafoglio... Rimise dentro i documenti che le erano serviti per comprare il biglietto, ma si accorse che c'era qualcosa di strano, mancava qualcosa... I soldi c'erano, la carta d'identità anche, le sue tessere colorate sembravano esserci tutte: quella del supermercato sotto casa, quella della palestra, quella del bar... Ma la tessera sanitaria? Dov'era?
Sul momento non si fece troppe domande, voleva staccare e dimenticarsi di tutto per un po': "L'avrò lasciata a casa da qualche parte, pazienza: tanto a che mi serve in Germania una stupida tessera?", pensò Sol.

"Cara "Sol" o forse farei meglio a chiamarti con il tuo vero nome, "Loredana", hai voluto la bicicletta? E ora ti tocca pedalare, mon trésor..." si disse la psicologa-detective ficcanaso passando dalla porta del commissariato. 

- Vi porto buone notizie, colleghi! Potete smetterla di far finta di lavorare e buttare il vostro schifoso caffè della macchinetta nel cestino: ora si inizia seriamente ad indagare. Seguitemi nel mio ufficio! - esultò con tono trionfante la donna.
Accese il computer con un gesto veloce e deciso. Era sicura di scoprire qualcosa di sconvolgente.
- Eeet voilà!! - esclamò infatti Clothilde. - Venite a vedere qui, cari i miei poliziotti! -
Si trovò mezzo commissariato intorno, con le bocche spalancate e il viso gelato dallo shock. 
- La nostra cara 'Sol', non è affatto 'Sol' come dice di essere, ma si chiama Loredana Carré. La sua fedina penale non è del tutto pulita. Presenta anzi vari reati, come aggressione ad agente pubblico, qualche piccolo furto qua e là e detenzione di droghe leggere in casa. E... attention attention, mes collègues! Segni particolari: sorella gemella: Joemi Carré. 
Direi quindi che è ora di contattare mademoiselle Loredana per qualche spiegazione in più: voi che ne dite? - 
Senza nemmeno aspettare la risposta dei colleghi, Clothilde afferrò il cellulare:
- E dai, rispondi bella, rispondi...! -

sabato 13 febbraio 2016

Sei

La polizia riaccompagnò a casa Jaime e Sol, ma la ragazza rimase a lungo in estrema tensione. Girava come impazzita per casa, piangeva. 
Tornò infine al bar, aprì la porta, la richiuse, con due giri di chiave. Buio, solo la luce dei lampioni che illumina fiocamente il locale. Silenzio. Voci. Voci? – Cosa stai dicendo? Io non…- urlò la ragazza.
Nessuna risposta, tutto taceva. – Io non sono lei, no, no! Aiuto, aiuto! Sto impazzendo! Aiuto! - piangeva.
Si accasciò accanto alla macchina del caffè. Si prese la testa tra le mani e pianse, come non aveva mai fatto in vita sua. Accese la radio, ma questo non alleviò il suo dispiacere, perché stavano trasmettendo “Atlantide”, la nuova canzone di Daniele Celona con Levante. Sol incominciò a canticchiare le parole, anche se le lacrime continuavano a scorrerle impetuose.
Si sdraiò su due tavolini, e il suo sguardo si perdeva nel soffitto, viaggiava, verso un sonno leggero, finalmente.
Erano le 7.30, quando Sol venne svegliata da un rumore: qualcuno bussava alla porta. Aprì bene gli occhi e vide una signora dai lunghi capelli marroni e dagli occhi azzurri, di un azzurro vivo, quasi innaturale, che la stava salutando. Sol si alzò dal tavolo, andò ad aprire la porta:
- Bonjour Mademoiselle! Ben alzata!-
Era anche sarcastica, la donna.
- Mi presento, sono Clothilde, e sono una psicologa e criminologa: collaboro con la polizia, voglio cercare di capire qualcosa in più sulla vicenda. -
Quella donna stupì Sol. Dopo tutti gli eventi capitati ci mancava la psicologa! Però era particolare, sorrideva. Sì, sorrideva. E portava degli abiti buffi e assemblati in modo apparentemente casuale: scarpettine col tacco rosse, un paio di jeans scuri, una maglietta colorata, una giacca beige, sciarpa viola e borsa arancione.
Era una psicologa, matta, ma psicologa, e sapeva analizzare la mente, perché riusciva a intrufolarsi nel cervello delle persone. Clothilde, “Clo”, era anche chiamata “la psicologa-falco”. A lei non sfuggiva niente, neanche il minimo movimento di una pupilla.
- Potrei avere un café, s’il vous plaît ? - disse in francese, sempre sorridendo.
Davanti a un caffè tutto è più bello. Si sentiva a suo agio, stranamente, davanti a quella donna. Come aveva detto di chiamarsi? Ah sì! Clothilde.
-Veniamo al punto, Sol. La vittima, il foglietto dove hai scritto il numero di telefono del tuo collega, Jaime, tu. -
Sol la fissava, il suo volto aveva mutato espressione.
- Il foglietto apparteneva alla vittima, ci sono le sue impronte, ma anche le tue. Ma questo al momento non mi interessa. - Diceva lentamente Clothilde-“Clo”, inclinando la testa e strizzando gli occhi celesti.
- Che relazione avevi con la vittima? -
- Io non la conosco -
- Menti. -
- Si sbaglia, signora Clothilde - replicò Sol.
- Oh, andiamo, basta sciocchezze!. - Le guardò il volto. – Tu conoscevi la vittima, non è così? -
Sol taceva, ma i suoi occhi parlavano. Come stavano parlando quelli della criminologa.
- Certo che la conoscevi. -
- La prego, se ne vada! - Disse Sol ferocemente.
- Chi era la vittima? Una tua sosia? Ma no, certo... Lei potrebbe essere la tua sorella gemella e tu l’hai uccisa. Gelosia? Soldi? Tradimento? -
Sol prese la tazzina e la lanciò contro il muro.
- Se ne vada, ho detto! - gridò.
Senza battere ciglio l’abile criminologa disse: - Magari tua sorella usava i soldi che tu guadagnavi per fare la bella vita, costringendo te a lavorare nel bar e nella discoteca, e tu l’hai uccisa, l’hai trascinata proprio qui accanto al bar, a faccia in giù, per mostrare il disprezzo che provavi nei suoi confronti. Ottimo ragionamento, no? - Clothilde si era seduta sul tavolo e la guardava con i suoi occhi azzurro- gelido.
Sol si alzò e se ne andò, sbattendo la porta. Era furiosa, piangeva. “Clo” era soddisfatta, aveva ottenuto quello che voleva. Lasciò i soldi del caffè sul tavolo e uscì pensierosa. Si accorse che la ragazza aveva perso una tessera. La raccolse.
- Bingo! - esclamò la donna con uno sguardo malizioso.
Andò al parco, si sdraiò sulla panchina e, fissando le foglie dell’albero che si muovevano, disse a bassa voce: “Sol mente sulla sua identità. La tessera dice che si chiama Loredana e che è nata in Italia. Allora chi è questa Loredana che dice di chiamarsi Sol? E chi è in realtà la vittima? Perché è stata abbandonata proprio davanti al bar dove lavora Sol? Che legame aveva lei con la vittima? Perché Sol mente sulla sua identità? Protegge qualcuno? Nasconde un segreto?”
Pensava, sempre sdraiata sulla panchina.
Era psicologa e criminologa, era matta, ma lei era Clothilde e prima o poi avrebbe risolto questo mistero: del resto, a lei non sfuggiva niente.

giovedì 11 febbraio 2016

Cinque

- Sono sempre la solita, non cambio mai!- affermò Sol più a se stessa che all’amico al suo fianco: - Sono sbadata, estremamente sbadata! - 
Jaime rise, perché era vero. La ragazza era veramente brava e metteva impegno in tutto ciò che faceva, dal lavoro ai suoi più adorati passatempi, ma a volte poteva proprio essere sbadata. Questo il ragazzo lo sapeva bene, perché più volte si era fermato a osservarla inciampare quasi nei suoi piedi e combinare qualche piccolo, ma per niente grave, pasticcio.
In realtà, Sol e Jaime erano molto turbati: la prima per la scoperta del cadavere dal suo stesso aspetto, mentre il secondo per quell’inconfessabile segreto di cui, da anni ormai, lui era il solo a conoscenza.

Jaime si considerava il ragazzo più tranquillo dell’intera Spagna. Lo era sin da piccolo quando, a differenza dei suoi amici, che erano sempre sporchi di fango per aver giocato a lungo nella calda campagna catalana, lui era sempre pulito e in perfetto ordine, perché preferiva leggere un libro sdraiato su un’amaca all’ombra di un albero. Lo era anche quando, ad un lungo bagno nell’immensità del mare, lui preferiva osservarla, quell’immensità, dall’alto di uno scoglio, disturbato solamente da qualche granchietto dispettoso e da qualche folata di vento che gli scompigliava i capelli e gli faceva venire un piccolo brivido.
A scuola non era il primo della classe, ma indubbiamente era colui che ci metteva più impegno, e questo gli altri lo apprezzavano: soprattutto i suoi genitori, i quali erano molto contenti di avere un figlio come lui. Finita la scuola, aveva deciso di cercare un lavoro in modo da non gravare troppo sulle spalle dei propri genitori, i quali - secondo lui - lo avevano già aiutato largamente. 

Ed era per questo che Jaime non doveva essere lì quella sera. Ma si era lasciato convincere dai suoi amici, che erano stanchi di divertirsi senza di lui, sempre chiuso in una stanza. Allora, sentendosi già - appena arrivato - nel posto sbagliato, si era ritrovato in quel locale.
La musica era assordante, conturbante e seducente, come le mille ballerine che, in abiti tutto meno che pudici, danzavano a quel ritmo sconvolgente. Il clima della serata era caldo e un’ondata di uomini, sui cui volti aleggiava la medesima espressione, affollava quell’angusto eppur immenso night club. Grazie all’entusiasmo dei suoi scapestrati amici, Jaime bevve più di quanto si aspettava, e più di quanto era solito bere, e così iniziò a sciogliersi e a liberare la mente. Nemmeno i suoi più grandi amici l’avevano mai visto così loquace e spensierato. Qualche drink di troppo, e si ritrovò in pista, intento in una danza più che sfrenata.
E fu qui che accadde. Qui tutto ebbe inizio. Qui il segreto prese forma. La notte era ancora giovane, ma la serata era già al suo culmine. 
Lei entrò. La folla gridò. Anche Jaime all’inizio gridò, ignaro di ciò che avrebbe visto dopo. Ignaro di cosa avrebbe pensato dopo e ignaro di quello che avrebbe fatto. Lei non era volgare, no, ma semplicemente e assolutamente provocante. La musica partì e metà della folla riconobbe quel ritmo cadenzato di Let’s go fucking Mental -The Brian Jonestown Massacre. Tanti iniziarono a cantare e a incitare la ragazza, definita “La candida dama nera”. Ogni suono rimbombava nella testa di ogni uomo, che osservava come le luci soffuse giocassero, come onde che si inseguano e si increspino, unendosi sul corpo formoso della ragazza. Aveva i capelli sciolti, i quali ondeggiavano fluidi nell’aria ad ogni suo movimento. Una leggera veste copriva delicatamente il suo corpo e una maschera veneziana le nascondeva il volto chiaro.
La folla era dominata dalla ragazza, che sapeva di averli in pugno. Li illudeva che da lei potessero avere qualcosa e si divertiva a farlo, come molti si erano divertiti con lei. Per la ragazza questo lavoro era insomma una piccola rivincita.
Lo spettacolo era al termine e, ormai alla chiusura del locale, mentre stava uscendo, Jaime notò la ragazza togliersi la maschera. Lo stupore lo folgorò, perché non pensava che una ragazza come Sol, come l’amica d’infanzia, che al mattino apriva il bar e la sera lo chiudeva, potesse svolgere, durante le ore più scure e misteriose della giornata, un lavoro così conturbante. 
D’altro canto, la ragazza si comportava come se non notasse Jaime, il quale rimase ancora più sorpreso. Provò a rivolgersi a lei, ma, evidentemente, era come se i due parlassero due lingue diverse.
La ragazza, che aveva già conosciuto il lato difficile della vita, visibilmente impaurita, strattonò infine il ragazzo e scappò. Tra i due c’era incomprensione. Nei due c’era confusione.

martedì 9 febbraio 2016

Quattro

"Non può essere! ... impossibile! ... è sicuramente uno scherzo!", pensò tra sé e sé Sol appena riconobbe il suo volto nel bianco e freddo cadavere.
Di colpo iniziò a sudare e a muovere le gambe nervosamente, come se stesse vivendo un nuovo incubo, ma questo purtroppo era reale: Sol non poteva davvero sperare di svegliarsi e di rendersi conto che si trattava solo di un brutto sogno, perché ora, ma sì! era proprio tutto reale.
- Dammi un pizzicotto Jaime! Jaime ho detto dammi un pizzicotto, non può essere vero! Jaime! - ripeteva Sol girandosi verso l’amico e alzando il tono della voce, non ricevendo nessuna risposta.
Jaime, vedendo il corpo della sua amica senza vita, intanto era svenuto, e adesso la scientifica stava cercando di soccorrerlo. Erano tutti attorno al ragazzo, tranne Sol; la troppa confusione che aveva in testa non le aveva permesso di realizzare che Jaime si era sentito male.
L’unica cosa che fece, forse impulsivamente, senza nemmeno volerlo, fu avvicinarsi al corpo.
Come se non fosse più lei, come se la sua fragilità e la sua paura fossero completamente sparite, Sol scoprì il volto della ragazza e lo fissò. Era veramente la sua copia: stessi occhi, stesso naso, stessa bocca, capelli lunghi e neri, come quelli di Sol.
La ragazza scoprì del tutto il corpo e, vedendo qualcosa uscire dalla tasca dei jeans, lo sfilò senza pensarci due volte e se lo mise in tasca.
- Signorina che fa? Non può assolutamente toccare il cadavere! - le disse l’ispettore, il signor Hernandez, quando si accorse che Sol lo aveva scoperto. 
- Sì, scusi... è che... non volevo... - rispose con voce esile Sol.
- Cosa signorina? Avanti, dica! -
- No, no niente.. niente di importante. -
- Signorina Sol, in questo momento tutto per noi è importante, anche una piccola cosa, che a lei può sembrare banale, per noi è essenziale... essenziale almeno per aprire una pista, visto che non abbiamo niente in mano.
Per questo la prego, qualsiasi cosa le passi per la testa me la comunichi.. qualche stranezza notata nell’ultimo periodo qui al bar, qualche comportamento inusuale... Ha detto di avere qualche cliente abituale qui, giusto?-
- Sì - rispose con un filo di voce la ragazza.
-Ecco, bene, ha notato qualcosa di strano in loro? La prego, ci pensi! -
- No, nulla... cioè forse sì... la Carmen...- 
Ieri Carmen, una delle sue clienti più abituali, era un po’ strana, ma Sol non ci aveva fatto caso: quella donna aveva sempre qualche problema: una volta il suo barboncino che stava male, una volta la parrucchiera che le aveva sbagliato il colore... aveva sempre qualcosa di nuovo di cui lamentarsi e Sol ormai era talmente abituata ai suoi lunghi e noiosi discorsi, che non faceva nemmeno più caso a quello che la donna diceva.
- Mi dica signorina! Cosa la Carmen? Chi è questa donna? - chiese l’ispettore molto cortesemente, da uomo gentile che era.
- La Carmen, Carmen Gonzalez: è una signora che viene da noi quasi tutte le mattine e poi se ne va al mercato. Prende un decaffeinato, una pasta rigorosamente vuota e un bicchierino d’acqua naturale, perché quella frizzante gonfia. - Ripeté Sol come se sentisse le parole della signora risuonare nella sua mente.
- Bene - rispose l’ispettore, appuntando tutto nel suo taccuino verde. - E cosa ha fatto la signora Gonzalez in questi giorni di strano? -
- Ieri mattina, quando è arrivata, aveva una brutta cera: si vedeva che non aveva dormito: aveva delle occhiaie! è entrata, ha preso solo un cornetto, ha pagato e salutandomi con un cenno della mano, è uscita di nuovo. Non avendo visto il cane, ho pensato che forse avesse un appuntamento dal veterinario, visto che quel povero cucciolo sta sempre male. Per questo non ho sospettato nulla - raccontò Sol, mentre il signor Hernandez continuava a prendere appunti.
- E le ha detto qualcosa, la signora?-
- Jaime!- gridò di colpo Sol vedendo ricomparire l’amico: -Che ti è successo? -
- Tutto a posto Sol, mi sono solo un po’ spaventato. Forse è meglio se vado a casa a riposarmi: questa situazione è davvero strana.- rispose Jaime, un po’ stordito.
- Vengo con te!- reagì Sol d’impatto, come se volesse evitare ulteriori domande; poi si girò verso l’ispettore e gli chiese -Posso andare ,signor Hernandez? -
- Sì, vada signorina, però mi raccomando: qualsiasi cosa... ce la dica! Ah, dove possiamo trovare il suo socio? -
- Oggi ha il giorno libero, ma se vuole posso lasciarle il suo numero di telefono. - 
- Sarebbe molto gentile da parte sua, signorina Sol. - 
La ragazza entrò nel bar, si avvicinò al bancone e prese una biro; poi frugò nelle tasche e tirò fuori un foglietto di carta, dove cominciò a scrivere. 
- Ecco! - disse Sol, porgendo il foglietto all’ispettore.
- Grazie mille signorina! Riposi e resti in zona: sicuramente la chiameremo per un altro interrogatorio. -
Nel viaggio di ritorno, Sol iniziò a raccontare a Jaime di quello che aveva rubato dai jeans del cadavere, ma, cercando nelle tasche del suo giubbotto, non trovò più nulla.
- No! - esclamò. Però aveva visto scritto il numero del telefono di Pablo nel foglio che aveva trovato nella tasca del cadavere.

domenica 24 gennaio 2016

Tre

L’ispettore la guardava insospettito e un poco diffidente, ma nonostante questo decise di tranquillizzarla.
- Signorina, beva un po’ d’acqua… - disse avvicinandole il bicchiere che il suo premuroso amico le aveva versato. - Non ha notato nessun movimento, comportamento o viso sospetto nel corso della giornata di ieri? -. 
Dopo un sorso, la ragazza trovò più facile organizzare i pensieri: - Non posso dire di aver notato qualcosa di insolito, ma da queste parti passa sempre molta gente e sono solo alcune le persone a cui faccio caso. Ieri mattina, come di consueto, ho servito alcuni lavoratori che prendono il caffè prima di timbrare il cartellino: loro arrivano presto, sono di fretta e di non molte parole. Poi è arrivata la signora Carmen, che passa ogni giorno di qui mentre va al mercato, e lei più che per il decaffeinato si ferma per fare lunghe chiacchiere riguardo il suo barboncino e altri discorsi noiosi. Deve essere una signora molto sola, ma mi fa tenerezza e quindi la lascio parlare e la ascolto mentre svolgo i miei lavori. Così, tutto normale fino a mezzogiorno, quando ho lasciato il locale a Pablo, l’altro barista; sono tornata poi alle 7 per il turno serale. Essendo domenica non c’era tanta gente: l’unica persona di cui mi ricordo è il signore che viene sempre molto tardi, e rimane fino alla chiusura; di solito non parla molto, ma spesso beve come una spugna, e a volte mi capita pure di trovarlo addormentato sui tavoli fuori -. 
A questo punto, però, Sol e l’ispettore furono interrotti da uno degli addetti alla scientifica e all’analisi del caso. 
- Signore, può venire un secondo? è importante -. 
L’agente si alzò, lasciando Sol immersa nei suoi pensieri. 
E fu proprio nel momento in cui la ragazza si trovò da sola con se stessa, che si ricordò l’incubo fatto la notte precedente. In una lunga e infinita strada, si era messa a correre in preda al panico, inseguita da un’ombra scura e senza identità. Alla fine tutto intorno a lei si era ristretto in una specie di tunnel che diventava sempre più angusto e soffocante, e sempre più inclinato… fino a diventare verticale e a farla precipitare verso il basso. 
Si era svegliata sudata e confusa, impaurita dal mistero e dall’angoscia che l’incubo le aveva provocato...
Sol ritornò improvvisamente al presente, abbandonando tutti i suoi pensieri, appena vide l’ispettore che, dopo aver parlato con gli agenti, si diresse verso di lei: - Signorina, può seguirci un secondo? -. 
I carabinieri la portarono proprio nel luogo in cui c’era il cadavere: - Non sappiamo come dirglielo, ma siamo sicuri che lei conoscesse molto bene la vittima. - 
- Sì - rispose allarmata e con un filo di voce. Sol, incredula, era sempre più confusa e preoccupata : - Scusi, ma…... come fa ad affermare una cosa del genere? - chiese.
Uno degli agenti aprì la lampo della sacca che conteneva il cadavere della vittima, e tutti prima guardarono Sol, e poi si girarono verso il corpo senza vita. Anche lei, tremante, si voltò lentamente a guardarlo, e in quel momento le sembrò di ricevere un pugno nello stomaco che la fece quasi svenire. 
Il viso era esattamente identico al suo...

mercoledì 20 gennaio 2016

"Carabineros? Credo ci sia stato un omicidio...in Via Marese...il corpo è immobile sicuramente da un’ora, no, non la conosco…"

lunedì 18 gennaio 2016

Due

Non sapeva cosa fare, il cuore le batteva  a una velocità che non pensava si potesse mai provare nella vita; preso il telefono, compose il primo numero che le venne in mente.
- Pronto? Devi venire subito… è successo... c’è una... non so cosa fare: vieni subito al bar.
Jaime arrivò prima del previsto, e ciò le diede, per la prima volta nell’ultima mezz’ora, un minimo di sollievo.
Si conoscevano dai tempi dell’ “educaciòn primaria”, vale a dire dalla scuola elementare, ed erano sempre riusciti a continuare a vedersi da allora, pur avendo preso strade diverse nel corso degli anni. Sapeva che poteva confidarsi con lui, perché i suoi consigli erano sempre preziosi e adatti alle situazioni che si presentavano.
I capelli spettinati e gli occhi assonnati: si era appena svegliato. Bussò alla porta del bar, domandandosi perché fosse chiusa, e notò il carello “cerrado” sul lucido vetro del locale.
- Ho fatto prima che ho potuto: la tua voce mi ha spaventato... si può sapere cos’è successo? Come mai non c’è nessuno? Sono quasi le otto! E poi perché tieni chiuso? E’ lunedì, e tutti hanno bisogno di un caffè il… - disse Jaime entrando nel bar, ma dovette interrompersi; confusa da tutte le domande e scossa dall’assurda e pericolosa situazione nella quale si stava trovando, Sol scoppiò a piangere e si accasciò sulla sedia.
L’amico la guardò con aria dispiaciuta e, preoccupato, le porse un fazzoletto, evitando di farle altre domande per non peggiorare la situazione. Vedendo però che Sol non riusciva a calmarsi neanche facendo profondi respiri, le diede un bicchiere d’acqua.
-Ho visto che... non sapevo cosa fare, così ti ho chiamato... è veramente orribile… - disse a un certo punto lei tra i singhiozzi. 
- Orribile? Di cosa stai parlando? Sol, non ti posso aiutare se non mi dici cosa succe...
- Dietro al vaso, alla pianta, insomma... lì, vicino al camion - lo interruppe nuovamente Sol con il cuore in gola. L’amico, confuso ancora più di prima, si avvicinò alla zona da lei indicata, senza notare le evidenti tracce di sangue sul pavimento: non era mai stato un abile osservatore. Il primo pensiero che gli venne fu quello dell’ultima volta che lo aveva chiamato così di prima mattina: la causa era stata un piccolo gatto rimasto bloccato sul ramo di un albero, ma oggi non era proprio questo il caso!
Appena si rese conto della situazione, Jaime venne preso da un’ondata di caldo, non solo dovuta al calore della giornata. Tutto a un tratto, tirò fuori il telefono dalla tasca: 
- Pronto? Sì, un’ambulanza, subito, sì, ehm...Via Marese, sì, Via Marese numero 10, è urgente, fate prima che potete -. 
Compose in fretta un altro numero: - Carabineros? Credo ci sia stato un omicidio... in Via Marese... il corpo è immobile sicuramente da un’ora, no, non la conosco… ho chiamato l’ambulanza nel caso, sa...va bene, grazie.

Sol lo guardava incredula, chiedendosi dove l’amico avesse trovato il sangue freddo per ragionare e per formulare così tante frasi di senso compiuto senza farsi bloccare dal contesto.
I Carabinieri arrivarono in cinque minuti, dopo gli infermieri che, però, non trovarono più niente da fare. Subito entrambi chiesero informazioni a Jaime, non accorgendosi di Sol che se ne stava seduta in silenzio, completamente scioccata e presa dai suoi pensieri: come poteva essere successo? Come era possibile che qualcuno avesse il cuore di uccidere una persona? Cosa poteva spingere un essere umano a eliminare un altro essere umano? I soldi? La vendetta?
-Sol, mi stai ascoltando? Sol? - 
Le ci volle qualche secondo per smettere di riflettere su quei pensieri ai quali non riusciva a dare la minima risposta e per concentrarsi sul suo amico che la stava guardando negli occhi, cercando di riportarla alla realtà, dalla quale sembrava essersi estraniata totalmente.
- I signori avrebbero bisogno di maggiori informazioni, e io più che raccontare quello che ho visto e a che ora non posso dire molto di più. Tu sei qua da più tempo, e magari potresti fornire qualche dettaglio che io non ho detto, te la senti?
- Sì - rispose decisa Sol, stupendosi lei stessa del tono convinto con il quale aveva pronunciato quella breve parola.

mercoledì 13 gennaio 2016

Uno





Una calda mattina di Agosto un’aria afosa pervadeva le vie di Barcellona. Era presto e le strade erano ancora abbastanza deserte, se non per alcuni vecchietti che passeggiavano col cane, e una ragazza, Sol, che camminava per le stradine ancora mezza addormentata. Passeggiata mattutina? Sfortunatamente non era il suo caso: lei doveva andare ad aprire il bar in via Marese entro le 7, prima che qualche cliente sentisse il bisogno di un caffè. Non che il suo lavoro le dispiacesse, anzi Sol si divertiva moltissimo a gestire quel delizioso bar in stile antico, solo, come tutti i lavoratori, aspettava con ansia che arrivassero le ferie per permettersi un weekend al mare col fidanzato.
In realtà la città di prima mattina la incantava, le dava una sensazione di tranquillità e pace, un silenzio che in poche ore sarebbe sparito, sostituito dai rumori dei clienti che affollavano il bar. Però quella mattina Sol non si sentiva molto serena; la notte passata aveva dormito male per via di un incubo e adesso il caldo le stava facendo venire mal di testa. Per fortuna ormai era arrivata, doveva solo svoltare a destra e attraversare. 
Appena girato l’angolo... ”Aahhh” urlò: un gattone nero le era sfrecciato davanti correndo... per fortuna non era superstiziosa, ma era allergica ai gatti!
Con un solletichino al naso attraversò la ‘calle’ e finalmente eccolo lì: il grande cartello con scritto “El Chiquito Bar” e il locale con le saracinesche abbassate e i tavolini deserti.
Entrando accese la radio e si mise a canticchiare una vecchia canzone di Mika; intanto girò il cartellino della porta da ‘cerrado’ a ‘abierto’. Poi avviò la macchina del caffè, preparò piatti, tazzine, cucchiaini, e infine uscì per mettere le sedie nei tavolini esterni.

Però notò qualcosa di insolito che la fece smettere di cantare: su un tavolino color verde acqua, il suo preferito, c'erano delle macchie scure. Sol lo trovò molto strano perché la sera, quando puliva il locale, era sempre molto attenta che tutto fosse in ordine, anche se talvolta qualcosa poteva sfuggirle.
Col dito toccò la goccia più grande, che non era ancora del tutto secca, annusò, ma non sembrava né cioccolato né caffè... all’improvviso si rese conto, sgranò gli occhi e il cuore iniziò a batterle più forte nel petto. Sembra proprio sangue, cioè l’ultima cosa che si sarebbe aspettata.
Iniziò freneticamente a guardarsi intorno, ma non vide nessuno. Poi abbassando lo sguardo scorse altre macchiette scure sul pavimento, che formavano una specie di stradina fino agli enormi vasi di fiori gialli e rossi che Sol aveva sistemato per abbellire e per creare una divisione tra la zona del bar e l’officina meccanica lì a fianco.
Già nella sua testa si stavano formando pensieri terribili e il primo impulso fu quello di scappare lontano, perché intanto le tornava in mente anche il terribile sogno che non l’aveva lasciata dormire. Non poteva andarsene... come abbandonare il suo amato bar in una situazione del genere?
Allora Sol decise di affrontare la realtà e con molta cautela, a piccoli passetti, andò in direzione del vaso.
Era tanto tempo che non sentiva tanta adrenalina in corpo; esattamente da quando due anni prima un ladro incappucciato era entrato in casa sua e aveva tentato di rubare, per poi scappare quasi a mani vuote perché a una barista più di tanto non si può rubare.
Sol ormai era a un passo dalla pianta e il cuore le batteva in gola, fortissimo. Si fermò un attimo, prendendo di nuovo in considerazione l’idea di voltarsi e lasciare quel mestiere a qualcun altro. Però, poi, raccogliendo tutto il coraggio possibile e prendendo un respiro profondissimo, allungò la mano ancora sporca di sangue e scostò il ramo. In un attimo tutti i suoi pensieri più terribili diventarono realtà.
Lì, ben nascosto tra i fiori e il camion carro-attrezzi, vide, steso per terra a faccia in giù, il corpo di una ragazza, probabilmente senza vita.
Dopo l’incubo della notte prima, questo era troppo da sopportare per Sol: un urlo terribile, il secondo della giornata, questa volta più forte e di puro terrore, le uscì dalla gola. La ragazza si precipitò al telefono del bar per cercare aiuto... per la fretta aveva dimenticato il cellulare a casa...